| Io leggo da anni annorum e di solito tendo a non abbandonare un libro, a meno che non sia illeggibile. Il tasso di illeggibilità di un libro per me dipende da diversi fattori: -la scrittura: può essere troppo semplice con una sintassi da scuola elementare, senza virgole, con un periodare indegno. Ora, se è un poliziesco o un thriller ci sta, se è indice di povertà grammaticale, lo capisco bene. Può essere un periodare barocco senza scopo, che tra millemila virgole e parole desuete affastellate apposta per gridare "sono un genio della scrittura, imito i classiconi io!", non dice nulla, né riesce a trasmettere dietro alla finta laboriosità di una lingua da versione di latino per Renzi Tramaglini, una qualsivoglia emozione che sia una. Detesto poi i romanzi con un linguaggio scurrile e senza scopo ben chiaro: la scrittura è uno strumento che deve essere efficace, non scenografico in modo gratuito. Ho poi un'antipatia tutta mia, di cui mi vergogno, verso al sintassi e le espressioni verbali del sud. Non riesco ad entrare in un romanzo che è troppo di colore meridionale, ma, ripeto, è un limite mio. -la strutturazione dei capitoli: ora, se uno scrive un romanzo o un saggio, il minimo è infondere sostanza alla sua ispirazione. Ok che ci sono romanzi con capitoli brevi e fulminei (tipo Baricco), ma bisogna saperlo fare. Chi non è capace di farlo, lasci stare. Non ho lamentele sui capitoli lunghi, ma quelli eccessivamente lunghi stancano, pur non segnando l'abbandono del libro. -il tema: ora, sappiamo che uno scrittore bravo può declinare un tema ostico in maniera piacevolissima e approfondita, ma esistono tematiche, tipo i romanzi hard-boiled o le sfumature di topo gigio, che non inizierei nemmeno. -i personaggi: ci sono personaggi antipatici a livello non emotivo, ma pure di pancia. Di quei tipi che non entrano in una possibile empatia (se l'autore cerca di far empatizzare il lettore) o che restano estranei e tipo insetti sotto vetro, con una schizofrenia che l'autore nemmeno ha considerato. Poi ci sono i personaggi piatti, senza profondità, cartonati in 2D, che all'azione rendono come un'ameba nell'acquario di Morticia. Unire strutturazione di capitoli, il ruolo della sintassi nello trasmettere emozioni e/o azioni, la pregnanza che l'autore sa dare di una tematica, la sua capacità di dare corpo e anima ad un personaggio, è ciò che faccio per valutare l'abbandono di un libro.
Un esempio, di recente ho iniziato un giallo di Longo, con Arcadipane e Bramard. L'azione era lenta, il commissario presentato come un bell'originale, ma l'ho detestato quasi subito, una pletora di personaggi tutti chiacchieranti ma ritratti con fare sarcastico, tanto che la credibilità, se l'avevano, è scappata da un pezzo... Io adoro i gialli, ma non sono riuscita ad entrare nel romanzo. In due giorni non avanzavo oltre le 60 pagine, inoltre avevo già puntato altri romanzi con maggior piacere nel leggere più quelli che questo derelitto giallo. Morale della favola: abbandono e buonanotte. Anche se l'autore è molto elogiato, non lo sarà da me. -
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