A sangue freddo, Truman Capote

Sì.

Primo esempio di true crime story, esempio che ha creato un genere e che, come i suoi derivati, unisce dettagli accurati sul delitto e i personaggi coinvolti ad altri dettagli romanzati se non completamente inventati.
Capote, nel confezionare questo lungo pezzo giornalistico romanzato, non è da meno. Così almeno si legge frugando tra articoli sul romanzo o sul delitto che, spesso e volentieri, sono la stessa cosa.
La narrazione è lunga, ricca di dettagli e di affermazioni su come i vari personaggi descritti si sarebbero sentiti o avrebbero pensato.
Anni di interviste giustifica la cosa quando si tratta dei due criminali, un po' meno se si tratta delle vittime (licenza poetica?) e dubbia quando si tratta dei vari testimoni alla vicenda... testimoni che spesso affermano tutto il contrario.
Ma non si lotta contro una macchina sforna soldi e si chiede un occhio su questo dettaglio.

La storia legata al delitto e alle ricerche di Capote la conoscevo già, grazie ad un programma televisivo sui grandi crimini del passato.
Ho tentato di vedere l'ultimo film realizzato sulla vicenda, ma ho trovato Capote (bravissimo Philip Seymour Hoffman nella sua interpretazione, in relazione ai video con varie interviste al vero Capote) irritante, petulante ed estremamente fastidioso.
Purtoppo queste sensazioni si sono riversate nel romanzo e la voce del narratore, pur anonima nel racconto, mi è risultata altrettanto fastidiosa.

Non ho provato empatia per le vittime, né per i due disadattati criminali. Non mi ha coinvolto nessuna delle descrizioni delle varie vicende e sono arrivata in fondo solo per curiosità.
Un prodotto figlio dell'epoca, per stile e ambientazione, ma soprattutto figlio di Capote... e la cosa non gli ha giovato.

3 / 5